mercoledì 13 gennaio 2016

Recensione: Il Ponte delle Spie

Spielberg e i fratelli Coen, un connubio perfetto

"Mi odieranno tutti però almeno perderò"





TRAILER:


Sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen
Durata: 2h21m
Genere: Thriller
Anno: 2015
Nazione: Stati Uniti

Prima di iniziare la recensione vera e propria vorrei fare un appunto su Spielberg. Essenzialmente lo considero il regista che per quanto riguarda la tecnica, al momento, non ha rivali. Ha girato sì dei flop (vedi gli ultimi due Indiana Jones), ma tralasciando qualche piccola pecca nella sua carriera, riesce sempre a distinguersi nello scenario cinematografico mondiale per il suo talento. Detto questo passiamo a stuzzicare i fan del regista, quelli che lo considerano un dio sceso in terra, perfetto, senza una sbavatura. Non è così; i problemi di fondo delle sue opere sono due e a parer mio e molto vistosi: l'eccessiva retorica che si sostituisce pian piano alla narrazione, il che rende il film troppo "smielato" e sempre volto a premere quei tasti emotivi che magari sullo spettatore più giovane o suggestionabile funzionano, ma che infastidiscono l'occhio attento di chi segue il cinema con vero spirito critico, "Il colore viola" ne è l'esempio perfetto. In secondo luogo si può notare che molto spesso vi sono cali di stile nello scorrere della trama, con elementi superflui che non fanno altro che danneggiare la visione della pellicola. Gli esempi che voglio riportare sono: "Jurassic Park - Il mondo perduto" e "A.I. Intelligenza artificiale", ma se ne potrebbero riscontrare degli altri (come del resto la scelta di produrre molti dei film di Michael Bay). Mentre nel primo si compie la discutibilissima scelta di portare in città un dinosauro vivo (e vorrei ripeterlo fino allo sfinimento: dinosauro!), essendo comunque consci di ciò che successe al parco in precedenza, nel secondo oltre ad un finale che lascia lo spettatore in uno stato di inutile confusione, perde di stile narrativo dopo i primi quaranta minuti; si passa infatti da una messa in scena e da atmosfere kubrickiane ad uno Spielberg che, sempre secondo una mia idea, tenta sempre di fare il più del dovuto con decisioni che appaiono forse completamente chiare unicamente al regista stesso.
Detto ciò io riconosco assolutamente l'abilità del cineasta, ma non prendo per oro tutto ciò che esce dalla sua macchina da presa, cosa che in molti, lodando il loro gran maestro, fanno senza riflettere che non è la perfezione fatta a persona e i suoi grandi sbagli li ha commessi e probabilmente li commetterà. In sostanza dunque per questa recensione non pubblicherò il classico voto al film per un semplice motivo: da Steven Spielberg ci si aspetta la perfezione, cosa che normalmente non raggiungerà mai, ma identificare l'opera di un regista così amato con un numero che per i fan sarebbe comunque troppo basso verrebbe sicuramente considerata un'eresia.

Passiamo ora alla recensione...

Come si sarà dedotto dall'intestazione lo considero un film affascinante, ricco di spunti sociali e filosofici come il rapporto con l'estraneo, riconducibile al pensiero e, più nel dettaglio, in un frammento di Eraclito che, paradossalmente come il rapporto umano che si instaura lungo la vicenda messa in scena, così recita: "Noi viviamo la morte di quelli e quelli vivono la morte nostra". Infatti, intorno a questa frase si può benissimo ricostruire lo scenario storico in cui è posta la narrazione: la Guerra fredda.
L'odio tra le due potenze mondiali dell'epoca, USA e URSS, sfocia in una questione di spionaggio e da questo tutte le conseguenze che comporta il lavoro della spia, compresa la cattura da parte dello stato nemico.
La storia si sviluppa infatti dall'arresto del presunto 007 sovietico Rudolf Abel (Mark Rylance) che, intento a dipingere il suo autoritratto, oggetto che acquisirà il valore di macguffin hitchcockiano, viene sorpreso in casa e poi scortato in carcere da un manipolo di funzionari governativi. Da qui il grande processo, affidato all'avvocato assicurativo James Donovan (Tom Hanks), inizialmente contario al ruolo di finto difensore dell'imputato, ma che in seguito, dopo aver visto non più un nemico, ma un uomo in Abel, sceglie di difenderlo a spada tratta, attirando così su di sé l'odio del popolo statunitense. Nel frattempo, con delle sensazionali scene in montaggio alternato (si noti anche l'elemento delle due monete appartenenti alle spie) e per questo ringrazio la mano dei Coen, l'esercito americano decide di inviare in ricognizione degli aerei militari nei cieli della Russia e da qui una nuova cattura, quella del soldato statunitense Francis Powers (Austin Stowell).
La scelta più logica è quella di trattare con il governo sovietico per uno scambio e con quello tedesco per il rilascio, nel primo caso del militare, nel secondo di uno studente americano arrestato alle porte del muro di Berlino. Mai si sarebbe aspettato Donovan di dover fare da mediatore, men che meno di essere obbligato a recarsi in terra straniera per questo. L'inquadratura si sposta pertanto nel luogo centrale del conflitto, una Berlino distrutta dalla guerra e schiacciata dalle due superpotenze che vogliono riavere indietro i propri uomini donde evitare che svelino le rispettive informazioni segrete.
Da qui tutte le vicende, tra avvocati e funzionari che si intrecciano nella trama, fino ad arrivare allo scambio, scambio che Donovan esige che sia del sovietico con i due americani; infatti dimostra di essere il più umano fra tutti, volendo salvare la vita a due uomini (tre con Abel) e non unicamente ad una spia "amica". Lo scambio avviene e prima di salutarlo per sempre, Abel gli lascia il suo autoritratto e l'avvocato finalmente "diventa ciò che era destinato ad essere" dal contatto con l'altro: l'eroe, l'uomo e il punto iniziale per uno sviluppo fondato sulla convivenza civile tra due mentalità contrastanti, ma che da quella gelida notte tedesca inizieranno a fare i primi passi verso la pace.
Spielberg in questa pellicola si supera e il merito è anche dei fratelli Coen che giocano con i movimenti di macchina e che sfruttano parte della loro classica ironia (ovviamente non al pari di Fargo) per smorzare la tensione che altrimenti avrebbe reso la vicenda narrata eccessivamente noiosa per il pubblico, ma che non cade in banalità, le quali avrebbero alleggerito il giusto peso che è stato dato all'opera. La sorpresa inoltre è un altro punto essenziale all'interno del film e questa si ha sfruttando le due scene, contrapposte, in treno; veramente spettacolari a parer mio. Si potrebbe parlare per ore della fotografia e della messa in scena, basti dire che in questo caso sono sensazionali e a tratti cupe, quasi a ricalcare un noir anni '70.
In conclusione Il ponte delle spie è consigliatissimo e se non dovesse essere più reperibile al cinema, l'acquisto della copia fisica in questo caso è più che giustificato dal fatto che raramente vengono proposti certi esempi di cinema con tematiche e caratterizzazioni dei personaggi (per lo meno quelli principali), come del resto interpretazioni, così eccellenti. Spero di vedere più spesso uno Spielberg del genere e attendo con ansia il prossimo lavoro dei Coen, tre geni che finalmente hanno lavorato a sei braccia per creare un piccolo capolavoro moderno tratto da fatti relamente accaduti.







IMMAGINI DAL FILM:
























Buona visione...

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